lunedì 4 settembre 2017

Cristo si è fermato ad Eboli - Carlo Levi

Ci sono tanti libri di cui tutti conosciamo i titoli, ma che in molti casi non abbiamo mai letto.
Di sicuro Cristo si è fermato ad Eboli è uno di questi. Citato continuamente quando si parla di questione meridionale, in realtà, quasi nessuno sa da chi e in quali circostanze è stato scritto.

A scrivere è Carlo Levi, di famiglia agiata torinese, che è mandato al confino per attività antifascista. Levi era di origine ebraica e ha la fortuna di formarsi in un ambiente privilegiato, ricco di contatti con i maggiori intellettuali di allora, scrivendo nella rivista di Gramsci, L'Ordine Nuovo. Si laurea in medicina, ma si dedicherà alla pittura come sua principale occupazione. Negli anni '30, dopo un secondo arresto, viene inviato al confino in Basilicata, prima a Grassano e poi ad Aliano (da lui citata come Gagliano).

Il suo racconto parte proprio dall'arrivo al secondo paese, più piccolo e scalcinato dell'altro. Quello che descrive è una situazione di miseria e abbandono totale dei contadini lucani. Dimenticati dallo Stato e dimenticati da Dio, visto che
in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.
Il racconto è crudo, non lascia nulla al caso e la critica allo Stato fascista e a tutte le altre forme di governo è palese. Ne viene fuori un'analisi della società paesana davvero senza pietà: i borghesi, quella piccola borghesia che crede di essere chissà cosa, è ritratta in modo spietato, con tutte le sue ignominie, e sono considerati il vero e proprio malanno di certi luoghi, considerato che i contadini, né buoni né cattivi, subiscono le oppressioni provenienti dagli screzi di coloro che detengono il potere, che siano il podestà, i dottori rivali, il farmacista o che sia lo Stato, visto come un'entità astratta e maligna.

Lo Stato è maligno perché vara leggi inique: emblematica la tassa sulle capre, talmente alta che conviene ucciderle, rinunciando al sostentamento, anche perché in terreni malarici, privi di acqua, dove non cresce nulla, quello è l'unico animale che può sopravvivere senza troppo impegno.
Lo Stato, qualunque sia, sono "quelli di Roma", e quelli di Roma, si sa, non vogliono che noi si viva da cristiani. C'è la grandine, la frane, la siccità, la malaria e c'è lo Stato. Sono dei mali inevitabili, ci sono sempre stati e ci saranno sempre. Ci fanno ammazzare le capre, ci portano via i mobili di casa e adesso ci manderanno a fare la guerra. Pazienza!
Giulia, la Santarcangelese
C. Levi, Olio su tela, 1935

Il podestà di Gagliano, Don Luigino, che cerca inutilmente di mettere su le adunate per il sabato fascista, è tra le persone più miserabili e cieche che popolano il paesello. Come se non bastasse è pavido come pochi.

Carlo Levi traccia un ritratto di vari personaggi, passando per la Giulia, una strega, una donna che, abbandonata dal marito, partito per l'Argentina e di cui non ha più notizie, se l'è cavata per conto proprio, mettendo al mondo 17 figli con vari uomini, incluso il vecchio parroco. Non solo lei è strega, ma ce ne sono altre che conoscono antichi rituali per curare e guarire da tanti mali. Alcune magie possono essere insegnate solo la notte di Natale, mescolando sacro e profano. Così incontriamo i monachicchi, gli spettri dei bambini che fanno i dispetti, i sanaporcelle, che tolgono le ovaie alle scrofe senza anestesia (d'altronde non ce n'era per le persone, figurarsi per gli animali) e gli americani, contadini che erano partiti per il Nuovo Continente, ma alla fine erano tornati a casa ritrovandosi nella miseria.

Terribile la descrizione che Carlo fa di Matera per bocca di sua sorella Luisa, che è stata neuropsichiatra infantile in tempi in cui per una donna essere istruita era giù incredibile e che ha scritto un libro sull'educazione sessuale negli anni '60.
Parlando dei Sassi
Aliano e la Luna
C. Levi, olio su tela, 1935
Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi: Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Hanno la forma con cui a scuola immaginavamo l'inferno di Dante. E cominciai anch'io a scendere per una specie di mulattiera, di girone in girone, verso il fondo. La stradetta, strettissima, che scendeva serpeggiando, passava sui tetti delle case, se così quelle si possono chiamare. Sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone: ognuna di esse ha sul davanti una facciata; alcune sono anche belle, con qualche modesto ornato settecentesco. [...] Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Ogni famiglia ha, in genere, una sola di quelle grotte per tutta abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini e bestie.
I briganti sono gli unici veri eroi da queste parti e Garibaldi non è per niente amato. Ninco Nanco e Maria a' Pastora, pur crudeli e terribili, sono visti come dei ribelli, dei sovvertitori dell'ordine costituito e ricordati con ardore.

Molti problemi del meridione sono immutati, si come alcune abitudini tutte italiane. Da leggere assolutamente!

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